
Il settore sanitario, motore di salute pubblica, è anche un importante contributore alle emissioni di gas serra.
Il nuovo rapporto OCSE “Decarbonising Health Systems Across OECD Countries” stima che in media il 4,4% delle emissioni complessive nei Paesi membri nel 2018 sia attribuibile a ospedali, ambulatori, farmaci, dispositivi e servizi sanitari.
Una quota che supera settori tradizionalmente percepiti come inquinanti (vedi l'aviazione), ma che finora aveva ricevuto scarsa attenzione.
Ospedali e inappropriatezza delle cure
Secondo l’analisi, gli ospedali rappresentano circa il 30% delle emissioni totali del settore sanitario.Il peso deriva dall’alta intensità di risorse impiegate, soprattutto nelle terapie intensive.
Spostare l’assistenza dall’ospedale al territorio e potenziare la primaria può contribuire a ridurre ricoveri evitabili, tempi di degenza e sprechi.
In media, nei Paesi OCSE, politiche di appropriatezza potrebbero abbattere fino a un quarto delle emissioni ospedaliere, con benefici paralleli su qualità e costi dell’assistenza.
Prodotti sanitari sotto osservazione
Il rapporto segnala come alcuni prodotti clinici abbiano alternative a basso impatto già disponibili:- Gas anestetici, con il desflurano che ha un’impronta climatica molto più alta di altri composti sostituibili senza sacrificare la qualità delle cure.
- Inalatori per asma e BPCO, dove i dispositivi spray a base di HFC potrebbero essere sostituiti da inalatori a polvere secca o a nebbia soffice, clinicamente equivalenti ma con un’impronta ambientale molto inferiore.
Il nodo delle catene di fornitura
La parte preponderante delle emissioni – circa il 79% – non nasce dentro gli ospedali, ma lungo le filiere globali di farmaci, dispositivi e servizi sanitari.Di queste, la metà proviene da Paesi esteri rispetto a quelli in cui le cure vengono erogate, rendendo più complesso il controllo diretto delle emissioni nazionali.
La pandemia ha mostrato quanto le supply chain siano interconnesse e difficili da riorganizzare, ma anche quanto i loro costi ambientali siano insostenibili.
Per questo l’OCSE sollecita politiche di “green procurement”, linee guida condivise e standard internazionali per spingere il mercato verso produzioni a minore impatto.
Co-benefici tra sanità e ambiente
Il rapporto evidenzia come molte politiche di salute pubblica possano generare benefici doppi: più salute e meno emissioni.È il caso delle diete sostenibili a prevalenza vegetale, che nei Paesi OCSE ridurrebbero le emissioni di 304 MtCO₂eq l’anno – come togliere dalla strada 72 milioni di auto – e salverebbero 27mila vite ogni anno prevenendo tumori.
Anche la promozione del trasporto attivo e la riduzione dell’inquinamento atmosferico contribuiscono a ridurre al tempo stesso rischi cardiovascolari e impronta climatica.
Per l’OCSE in sostanza la strada della decarbonizzazione sanitaria coincide con la missione primaria dei sistemi sanitari: offrire cure appropriate, sicure e sostenibili.
Ridurre sprechi, riorganizzare l’assistenza, adottare prodotti a basso impatto e introdurre criteri ambientali negli acquisti non significa solo ridurre CO₂, ma anche garantire cure migliori e più accessibili.
In Italia il tema della decarbonizzazione della sanità è ancora in fase embrionale.
Negli ultimi anni sono state avviate alcune iniziative locali, soprattutto in ambito edilizio con l’efficientamento energetico di ospedali e strutture sanitarie, spesso legate a programmi europei di riqualificazione.
Tuttavia manca una strategia nazionale organica che affronti in modo sistematico il contributo del Servizio sanitario nazionale (SSN) alle emissioni di gas serra.
Secondo le stime OCSE, il profilo emissivo del settore sanitario italiano è sostanzialmente in linea con quello degli altri Paesi membri: gli ospedali rappresentano la voce principale, con circa un terzo delle emissioni, mentre il resto è legato soprattutto alle filiere di farmaci e dispositivi medici.
Un dato particolarmente rilevante per l’Italia, che dipende in larga parte dalle importazioni, è quello delle catene di fornitura globali, da cui deriva una quota significativa delle emissioni indirette.
Le leve di intervento individuate a livello internazionale sono del tutto pertinenti anche per il nostro Paese:
- Appropriatezza e territorio: ridurre i ricoveri inappropriati, potenziare l’assistenza primaria e sviluppare modelli di presa in carico sul territorio significherebbe non solo tagliare i costi e migliorare gli esiti, ma anche abbattere l’impronta climatica del SSN. L’Italia, già segnata da un forte squilibrio Nord-Sud nell’accesso alle cure, avrebbe molto da guadagnare da una riorganizzazione che riduca la pressione sugli ospedali.
- Scelte cliniche più sostenibili: la sostituzione di gas anestetici ad alto impatto o degli inalatori spray per asma e BPCO è una misura immediata e realizzabile anche nel contesto italiano, senza compromettere la qualità dell’assistenza.
- Appalti verdi e procurement centralizzato: il SSN, con Consip e le centrali regionali d’acquisto, dispone di una leva significativa per orientare il mercato verso dispositivi, farmaci e forniture a minore impatto ambientale. L’inserimento di criteri ambientali misurabili nei capitolati potrebbe generare effetti a catena su scala nazionale ed europea.
- Edilizia sanitaria e PNRR: i programmi di rinnovamento ospedaliero previsti dal PNRR rappresentano un’occasione unica per realizzare strutture “low carbon” e resilienti, a partire dall’efficienza energetica fino alla produzione da fonti rinnovabili, ma servono standard specifici per il settore sanitario. (Fonte: https://www.quotidianosanita.it/)