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Reporting di sostenibilità, il coinvolgimento delle filiere produttive

Supply chain e analisi dei rischi

Reporting di sostenibilità, il coinvolgimento delle filiere produttive

Reporting di sostenibilità, il coinvolgimento delle filiere produttive

Usualmente si assiste ad una particolare attenzione – quando parliamo di sostenibilità nelle aziende e delle recenti evoluzioni normative – alla fase del reporting di sostenibilità, quindi alla parte dichiarativa, nonché alle aziende di grandi dimensioni e molto spesso utilizzando una prospettiva interna all’azienda quasi come fosse una monade, un’entità a sé stante, priva di connessioni con altre entità produttive.

Ma non di poco conto, vi sono altri due aspetti degni di attenzione:

  • uno è il tema della filiera (posta all’esterno dell’azienda stessa) e quindi della supply chain di cui l’azienda vive nonché delle PMI (piccole e medie imprese) di cui questa è composta,

  • il secondo quello delle modalità di analisi dei rischi che concretizzano i contenuti del reporting.

Questi due aspetti rilevano quantomeno per due serie di motivazioni:

  • la prima in quanto gli stessi schemi di rendicontazione richiedono di compiere delle analisi che prevedano anche il coinvolgimento dei fornitori, quantomeno per giungere a valutazioni di materialità,

  • la seconda in quanto molte informazioni possono essere recuperate in modo obiettivo e confluire nell’assetto informativo solo se si considerano anche gli aspetti dei fornitori e della catena di fornitura.

Quello che è importante considerare è quindi un passaggio logico relativo al tema della sostenibilità in azienda estendendo l’attenzione:

  • dal “contenitore” (i.e. il reporting di sostenibilità),

  • al “contenuto” (i.e. le informazioni che lo compongono) e, in particolare, considerando quelle informazioni che provengono dalla filiera produttiva con le sue piccole e medie aziende e con i relativi metodi per acquisirle.

Posto come si debba portare l’attenzione ai propri fornitori in un’ottica di valutazione del rischio, la domanda è la seguente: le imprese che compongono il settore produttivo italiano sono pronte ed in grado di affrontare il tema della verifica e controllo della propria catena di fornitura in ottica di fattori e obiettivi di sostenibilità?

Non ne sono certo e vale la pena svolgere qualche riflessione per comprendere quali vie si potrebbero percorrere.

Imprese sono in grado di affrontare il tema?

Se guardiamo il testo normativo(1) in materia di criteri di rendicontazione la parola “supply chain” ricorre qualche centinaio di volte.
È fattuale quindi la rilevanza che ha questo tema per giungere ad una congrua rendicontazione.
E quando ci viene chiesto di valutare il rischio di impatti negativi, per definire la “rilevanza”, nella norma c’è un richiamo esplicito alla catena di fornitura.

3,4 Rilevanza dell’impatto
43. Una questione di sostenibilità è rilevante dal punto di vista dell’impatto quando riguarda gli impatti rilevanti dell’impresa, negativi o positivi, effettivi o potenziali, sulle persone o sull’ambiente a breve, medio o lungo termine. Gli impatti comprendono quelli connessi alle operazioni proprie dell’impresa e alla catena del valore a monte e a valle, anche attraverso i suoi prodotti e servizi e i suoi rapporti commerciali. I rapporti commerciali comprendono quelli siti nella catena del valore dell’impresa, a monte e a valle, e non sono limitati ai rapporti contrattuali diretti.


Sappiamo bene che le filiere produttive molto spesso sono molto frammentate, composte da molteplici aziende, spesso di medio piccole dimensioni.
Risulta fondamentale comprendere quindi come coinvolgere nel ciclo di valutazione delle informazioni e del rischio i fornitori soprattutto se parliamo di PMI che hanno di fronte due temi fondamentali:

  • l’impossibilità di assumersi ulteriori costi derivanti da attività imposte in modo frammentato e diverso dai grandi player clienti;

  • evitare che il costo della mitigazione dei rischi di possibile impatto negativo, ergo materiale, venga trasferito dalla grande azienda (tenuta a rendicontare) alla PMI subfornitrice.

Questo comporta di riflettere sul come far sì che il fornitore sia in grado di fornire informazioni specifiche alla grande impresa soggetta all’obbligo normativo.

Ma c’è un passaggio in più.
L’azienda fornitrice non dovrà solo fornire informazioni sui rischi di cui è portatrice ma, in aggiunta, dovrà collaborare a misure di rimedio qualora rischi di impatti negativi dovessero palesarsi.

Non ci si deve quindi limitare a fornire informazioni ma, anche le stesse PMI, dovranno implementare processi idonei a ridurre il potenziale impatto negativo sui fattori di sostenibilità, se non per obbligo cogente, per proprietà transitiva.

Dalla Direttiva UE alle Linee Guida dell’OECD

Qualche spunto per poter ragionare sul coinvolgimento della PMI in questo ciclo informativo lo troviamo nelle norme e, in particolare, nelle linee guida dell’OECD in materia di RBC – Due Diligence, richiamate all’interno della Direttiva UE relativa ai criteri di rendicontazione.

Un primo aspetto riguarda un approccio proporzionato all’implementazione di questi obblighi nei confronti della PMI.
Un segnale di questo approccio lo troviamo anche nell’attuale consultazione pubblica promossa da EFRAG in relazione ad uno schema di rendicontazione semplificato per le SME.

Le linee guida OECD in materia di Due Diligence(2) sono chiare nell’identificare l’approccio proporzionale alla dimensione dell’impresa come uno dei criteri da seguire:

Il dovere di diligenza è adeguato alla realtà dell’impresa. La natura e la misura del dovere di diligenza possono essere influenzate da fattori quali la dimensione dell’impresa, il contesto delle sue attività, il suo modello commerciale, la posizione che occupa in seno alle catene di fornitura e la natura dei sui prodotti o servizi.
Le imprese di grandi dimensioni, con attività su vasta scala e molti prodotti o servizi, potrebbero avere necessità di sistemi più formalizzati e ampi per individuare con efficacia i rischi e gestirli rispetto alle imprese più piccole, con una gamma limitata di prodotti o servizi.


E questo approccio proporzionato dovrà essere declinato alla luce del rischio concreto della singola azienda al fine di permettere all’impresa di focalizzarsi e poter investire i propri sforzi solamente sugli aspetti di maggior rilievo a fronte di un preciso e richiesto risk based approach.

IL DOVERE DI DILIGENZA È COMMISURATO AL RISCHIO (BASATO SUL RISCHIO). Il dovere di diligenza è basato sul rischio. Le misure che un’impresa intraprende per condurre l’attuazione del dovere di diligenza dovranno essere commisurate alla gravità e alla probabilità dell’impatto negativo. Quando la probabilità e la gravità di un impatto negativo sono elevate, il dovere di diligenza dovrà assumere una scala più ampia. Il dovere di diligenza dovrà altresì adattarsi alla natura dell’impatto negativo nelle tematiche RBC, quali i diritti umani, l’ambiente e la corruzione. Questo aspetto comporta un adattamento degli approcci ai rischi specifici e tenere conto di come questi rischi si ripercuotono su gruppi diversi, per esempio applicando una prospettiva di genere al dovere di diligenza.

Quindi, sulla base di quanto sopra, le aziende di medio piccole dimensioni dovrebbero poter approcciare, nonché essere messe in grado di approcciare, il tema della sostenibilità con strumenti e modalità proporzionate ed adeguate alle realtà stesse, consci di non poter lasciare privi di strumenti le realtà aziendali produttive al fine di evitare l’imposizione frammentata e diversificata di singole richieste e azioni da parte delle imprese tenute direttamente agli obblighi di rendicontazione.

Un’ulteriore riflessione in relazione al concetto di proporzionalità nelle fasi di analisi e controllo del rischio si può eseguire anche in relazione ad un ripensamento dell’approccio acquirente – fornitore.

Considerando che la grande impresa, tenuta alla rendicontazione, trarrà beneficio:

  • da ottime performance di sostenibilità e,

  • da una bassa significatività di potenziali fattori ad elevato impatto negativo dei propri fornitori,

questa dovrà in qualche modo far sì che i propri fornitori e partner raggiungano un determinato livello di maturità per evitare un trasferimento di impatti significativi dalla filiera all’azienda stessa.

Ecco che un approccio più collaborativo tra produttore e acquirente, dove il piccolo produttore trova supporto, ed eventualmente know how, dal grande cliente, potrà permettere sinergia e una distribuzione di effort e costi in ottica di raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità.

La stessa OECD(3) identifica questo aspetto:

Sostenere i fornitori rilevanti ed altri attori delle relazioni commerciali nella prevenzione o mitigazione degli impatti negativi o dei rischi, ad es. attraverso la formazione, il potenziamento delle strutture o il rafforzamento dei rispettivi sistemi di gestione, perseguendo un continuo miglioramento.

Cooperazione tra grandi imprese e PMI: unica soluzione

Ecco che la proporzionalità e la semplificazione nel controllo dei fornitori, ergo, la capacità delle PMI produttive di implementare assetti strumentali alla gestione del rischio di sostenibilità, trova ragione anche nella cooperazione, ossia nell’includere, per la grande impresa, i fornitori più rilevanti nella determinazione degli obiettivi aziendali e, quindi, nell’analisi del rischio d’azienda ove questi possano pregiudicare il raggiungimento degli obiettivi stessi, cooperando reciprocamente alla gestione e controllo del rischio di sostenibilità.

Questo approccio concretizza lo strumento dello “stakeholder engagement”, ossia il coinvolgimento della propria supply chain:

  • non solo per la determinazione dei temi e fattori che risultano essere materiali ma, altresì,

  • nella determinazione delle misure da implementare per la riduzione del rischio nonché

  • nella determinazione degli obiettivi di sostenibilità.

Riflessioni conclusive

Concludendo, la possibilità per le PMI di far fronte alle esigenze del mercato in materia di sostenibilità, quale riflesso degli obblighi normativi sulle grandi aziende, comporta la necessità di considerare una nuova visione della gestione del rischio quando parliamo di catena di fornitura, ossia di vera e propria “condivisione della gestione del rischio” tra grandi aziende e PMI.

Se dal punto di vista tecnico sembrano esserci tutti gli strumenti per poter implementare questi aspetti, dal punto di vista pratico e di comprensione del tema ritengo che vi siano ancora passi avanti da fare e si auspica come le istituzioni si facciano promotrici di iniziative di semplificazione a beneficio di aziende di medio piccole dimensioni nonché di un cambiamento culturale nell’approccio alla gestione del rischio di sostenibilità nelle filiere produttive. (Fonte: Marco Avanzi, https://www.riskcompliance.it/)

Per approfondimenti, consultare i seguenti link e/o riferimenti:
(1) Regolamento Delegato UE 2023/2772 della Commissione che integra la direttiva 2013/34/UE: principi di rendicontazione di sostenibilità
(2) OECD, Guida dell’OCSE sul dovere di diligenza per la condotta d’impresa responsabile, 2018
(3) OECD, Guida dell’OCSE sul dovere di diligenza per la condotta d’impresa responsabile, 2018

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