La nuova direttiva europea sul reporting di sostenibilità (la cosiddetta CSRD, o Corporate Sustainability Reporting Directive) sarà presto legge nei paesi Ue.
Già a partire dai bilanci 2024 le grandi imprese ad oggi soggette alla reportistica non finanziaria saranno obbligate ad applicare le nuove norme che prevedono numerose novità.
A seguire, nei periodi successivi, saranno assoggettate all’obbligo le grandi imprese quotate e non, le Pmi quotate e le succursali di capogruppo extra Ue.
Il cammino delle società italiane verso il reporting di sostenibilità sembra però ancora lungo.
Una recente ricerca condotta nell’ambito della KPMG Chair in Accounting dell’Università Bocconi con riferimento al 2022 ha analizzato lo stato dell’arte dell’informativa in materia ESG per un campione di 224 società quotate alla Borsa Italiana, facendo emergere diversi fronti su cui queste ultime hanno ancora un significativo gap da colmare per allinearsi alle disposizioni della CSRD.
Il primo dato che colpisce è che circa l’11% delle società del campione non riportano affatto informazioni su aspetti riconducibili alla sostenibilità. Si tratta principalmente di società di minori dimensioni, non assoggettate alla normativa in vigore sull’informativa non finanziaria.
Tra quelle che forniscono informazioni, soltanto il 12% riporta queste ultime in una sezione della relazione sulla gestione, come previsto dalla nuova direttiva.
Pur notando un incoraggiante 8% di casi in cui le società preparano già un report integrato contenente sia informazioni finanziarie che non finanziarie, nella grande maggioranza delle società il reporting di sostenibilità è contenuto in un documento completamente separato.
In oltre un terzo del campione, inoltre, le informazioni in materia ESG sono diffuse in più documenti separati, rendendo spesso non agevole rintracciare le informazioni rilevanti.
Si rileva inoltre una diffusa preferenza per la denominazione “informativa non-finanziaria” rispetto a quella suggerita dalla direttiva di “informativa di sostenibilità”.
Queste evidenze contribuiscono a rafforzare la percezione che – nelle società italiane – il reporting di sostenibilità sia ancora visto come contrapposto e separato dal reporting finanziario, un atto dovuto di compliance piuttosto che uno strumento per agevolare una transizione concreta verso obiettivi ESG.
In generale, i dati comunicati sono ancora limitati, soprattutto in termini di obiettivi, impatti e rischi. Spesso le informazioni sono riportate solo in forma qualitativa, senza dati e metriche. Inoltre, meno della metà delle aziende declina la tempistica dei propri obiettivi ESG su un orizzonte temporale di breve, medio e lungo termine, come previsto dalla CSRD.
Il ritardo risulta ancora più evidente quando si ricercano informazioni sulla catena del valore.
La CSRD, infatti, prevede che la rendicontazione di sostenibilità contenga informazioni relative non solo all’impresa focale ma anche alla relativa catena del valore a monte e a valle. Traspare una difficoltà delle imprese nel definire il perimetro della value chain da far rientrare nella nuova reportistica e nel reperire – da fornitori e clienti – le relative informazioni.
È evidente come le società abbiano bisogno sia di standard sia di nuove professionalità per prepararsi ai futuri obblighi informativi, soprattutto quelle di minori dimensioni.
La recente approvazione da parte della Commissione Europea dei principi ESRS (European Sustainability Reporting Standard) rappresenta un importante passo avanti in tal senso, ma non basta.
È necessario un cambiamento culturale che valorizzi il reporting il sostenibilità come un’opportunità, uno strumento in grado di favorire un vero e proprio cambiamento strategico. C’è bisogno anche di ripensare alla governance di impresa, definendo ruoli e responsabilità. Ad oggi, soltanto il 48% delle società quotate prevede membri del CdA o altri ruoli di governance dedicati alla sostenibilità. Tali ruoli vanno pensati accuratamente, in quanto essenziali motori del cambiamento ESG.
C’è infine bisogno di un approccio più integrato al tema.
Le informazioni non-finanziarie vanno collegate a quelle finanziarie, bilanci tradizionali e nuovo reporting di sostenibilità devono parlarsi. I regolatori stanno lavorando per fornire standard e indicazioni su come questo si tradurrà in pratica. (Fonte: Annalisa Prencipe, https://www.ilsole24ore.com/)
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