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Sostenibilità sociale, perché è un’opportunità anche per l’industria

Una sfida che influenza la competitività, ma anche un';opportunità di posizionarsi come leader di una trasformazione ormai inevitabile

Sostenibilità sociale, perché è un’opportunità anche per l’industria

Sostenibilità sociale, perché è un’opportunità anche per l’industria La sostenibilità sociale viene comunemente individuata come uno dei tre pilastri su cui poggia il concetto di sviluppo sostenibile.

Si tratta di un concetto che negli anni è evoluto, entrando prima nelle politiche di sostenibilità e poi nel linguaggio comune: se, infatti, quando si parla di sostenibilità la dimensione ambientale è un concetto chiaro da comprendere, è soprattutto negli ultimi anni che si è posta sempre maggiore attenzione alla dimensione sociale dello sviluppo sostenibile.

Complice l’accelerazione degli sforzi per la lotta ai cambiamenti climatici e una maggiore attenzione al tema da parte dei cittadini, si è iniziato a guardare con sempre maggiore attenzione alla responsabilità sociale degli attori che hanno il compito di generare valore e benessere all’interno della società e quindi anche al ruolo dell’industria in questo cambiamento.

Seppure, in realtà, la dimensione sociale era sempre stata inclusa nel discorso inerente lo sviluppo sostenibile, questa crescente domanda di accountability sui temi sociali sta trainando profondi cambiamenti nel mercato del lavoro e, di conseguenza, nelle politiche aziendali. Per le aziende è sia una sfida – che, come vedremo, influenza la loro competitività –, ma anche un’opportunità di posizionarsi come leader di una trasformazione ormai inevitabile.

 

Che cosa si intende per sostenibilità sociale

Per capire cosa si intende per sostenibilità sociale occorre partire dal concetto di sviluppo sostenibile.

L’accezione a cui si fa riferimento, nelle politiche e nel linguaggio moderno, è quella delineata nel 1987 dalla Commissione sull’Ambiente e lo Sviluppo delle Nazioni Unite nel cosiddetto Rapporto Brundtland.
In questo documento si definiva sviluppo sostenibile “una condizione di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”.
 
Seppure potrebbe sembrare che questa definizione non abbracci il concetto di sostenibilità sociale, gli stessi autori del rapporto precisarono nel documento che “anche la nozione più ristretta di sostenibilità fisica implica una preoccupazione per l’equità sociale tra le generazioni, una preoccupazione che deve logicamente essere estesa all’equità all’interno di ogni generazione.

Perché non esiste una sola definizione di sostenibilità sociale

Occorre precisare che non esiste una definizione comune e condivisa del concetto di sostenibilità sociale, né tantomeno esiste nella letteratura un accordo sul ruolo che questa componente ricopre nel modello “a tre pilastri” di sostenibilità.

Se nell’accezione che conosciamo società, economia e ambiente sono tre pilastri distinti ma ugualmente indispensabili alla stabilità del modello, altri accademici hanno inquadrato la sostenibilità sociale come una “restrizione” allo sviluppo economico, altri come motore che spinge le trasformazioni sociali ed economiche e, altri ancora, come il fondamento su cui poggiano gli altri due pilastri.

Né esiste tantomeno accordo sull’evoluzione del concetto: alcuni accademici che hanno studiato il concetto di sviluppo sostenibile ritengono che il pilastro sociale della sostenibilità abbia acquisito importanza negli ultimi decenni e che il concetto sia al tempo stesso evoluto. Questi studiosi fanno notare, infatti, che il concetto espresso nel rapporto Brundtland si focalizzava su problemi sociali quali povertà e il divario di reddito
tra i Paesi e che il concetto, così come lo conosciamo, abbia preso forma in un secondo momento.
 

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L’evoluzione del concetto di sostenibilità sociale nelle politiche di sostenibilità degli ultimi decenni

È con la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo di Rio del 1992, dove è stata definita la politica di sviluppo sostenibile del XXI secolo (Dichiarazione di Rio sull’ambiente e lo sviluppo), che si introducono il diritto a una vita dignitosa, la giustizia sociale intergenerazionale, intragenerazionale e internazionale e la partecipazione locale ai processi di sviluppo sostenibile.

Concetti ulteriormente sviluppati negli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, composta da 17 obiettivi principali (SDGs), 169 target e 232 indicatori. Il numero di indicatori inclusi fotografa la complessità di misurare che cosa sia la sostenibilità e, nell’analisi che portò all’adozione del report finale, non mancarono le discussioni inerenti la sostenibilità sociale.

Furono, infatti, ben 60 gli indicatori che vennero definiti a questo scopo, in risposta alla necessità di valutare il concetto di sostenibilità sociale secondo tre direttive:
  • la sostenibilità intesa come il benessere dei cittadini di oggi e dei Paesi coinvolti nella discussione (quindi here and now, qui e adesso);
  • il benessere delle future generazioni;
  • il benessere dei cittadini in altri posti del mondo.

Come si concretizza la sostenibilità sociale

Dal 2017, i rapporti sui progressi verso gli SDG si basano su uno specifico set di indicatori di sviluppo sostenibile dell’UE (Eurostat e Commissione europea, 2019).

Il set comprende 100 indicatori, 42 dei quali sono polivalenti (cioè utilizzati per monitorare più di un obiettivo di sviluppo sostenibile) e misura i progressi nelle dimensioni sociale, economica, ambientale e istituzionale della sostenibilità.

Anche se l’Agenda 2030 non fornisce un’indicazione di quali SDG possono essere ricondotti alla sostenibilità sociale, gli indicatori UE suggeriscono che gli obiettivi più rilevanti alla sostenibilità sociale sono:
  • SDG 1, sconfiggere la povertà
  • SDG 3, benessere e salute
  • SDG 4, istruzione di qualità
  • SDG 5, parità di genere
  • SDG 8, lavoro dignitoso e crescita economica
  • SDG 10, ridurre le disuguaglianze
  • SDG 16, pace, giustizia e istituzioni solide
Analizzando meglio l’Agenda, gli obiettivi e i target contenuti è evidente, tuttavia, che gli obiettivi sono interconnessi tra di loro, poiché tutti gli SDG prendono in esame importanti diritti umani.
 

L’importanza della sostenibilità sociale per le aziende moderne

Negli ultimi decenni la sostenibilità si è fatta sempre più strada nei temi del dibattito politico e pubblico, complici diversi fattori: da un lato, l’attenzione maggiore da parte della politica ha fatto sì che i temi legati alla sostenibilità entrassero a far parte dell’educazione e del linguaggio quotidiano dei cittadini.

Questa maggiore attenzione ha creato nuove generazioni di cittadini più attenti ai temi della sostenibilità e consapevoli del carattere trasversale della sfida. Una sfida a cui tutti gli attori sociali devono partecipare.

I cambiamenti che hanno interessato le società negli ultimi anni – tra cui digitalizzazione, pandemia e l’aumentare degli eventi meteorologici estremi – hanno fatto sì che anche dal basso si iniziasse a guardare alla sostenibilità sociale dei nostri modelli produttivi e di consumo e, soprattutto, dei valori su cui poggiano.

Un cambiamento che, unito al rafforzamento degli obblighi normativi in materia di sostenibilità che coinvolgono le imprese – tra cui l’obbligo di redigere e pubblicare un bilancio di sostenibilità annuale – , ha fatto sì che la sostenibilità sociale divenisse uno dei temi più caldi all’interno delle aziende.

Come la sostenibilità sociale è entrata all’interno delle strategie aziendali

La pandemia ha accelerato diverse trasformazioni che sarebbero altrimenti avvenute in un arco di tempo molto più lungo.
Molte aziende sono dovute ricorrere, spesso per la prima volta, a tecnologie digitali per poter continuare le loro attività, alcune mansioni e intere professioni sono state svolte per la prima volta da remoto.

Sono così caduti alcuni dei pilastri su cui poggiava la cultura imprenditoriale in diversi Paesi: il ruolo dell’ufficio, la necessità di svolgere in presenza diverse attività, i confini tra vita privata e lavorativa, la concezione stessa di produttività – da un modello incentrato sul tempo a uno incentrato sugli obiettivi –, fino al valore che si attribuisce al lavoro.

In un contesto dove, a causa delle restrizioni imposte in molti Paesi per arginare l’ondata di contagi, il lavoro assumeva un peso ancora più significativo nel quotidiano delle persone, si è posta maggiore attenzione sul “lato umano” dell’impresa: sulla cultura, sui valori alla base della generazione del valore e sul ruolo del lavoro stesso come generatore non solo di profitto, ma di significato e di impatto sociale.

Nuovi valori per aziende attente alla sostenibilità sociale

Un cambiamento che ha preso di mira un modello di fare impresa e che ha assunto dimensioni tali da venir ribattezzato “The Great Resignation” (la grande ondata di dimissioni) per sottolineare le ripercussioni che ha avuto sul mercato del lavoro.

Negli Stati Uniti nel 2021 si sono registrate oltre 4 milioni di dimissioni volontarie, il 2,8% della forza lavoro totale, un numero che non si registrava dal 2000. E uno degli aspetti più impressionanti, oltre alla portata del fenomeno ha rilevato McKinsey, risiede nel fatto il 40% di chi ha lasciato volontariamente il lavoro non aveva ancora trovato un nuovo impiego.

Un altro rapporto, questa volta del Gruppo Manpower, ha fotografato questo cambiamento culturale in diversi Paesi.
L’analisi del contesto italiano ha evidenziato un’importanza maggiore alla flessibilità lavorativa e alla tutela della salute mentale (con particolare focus sulla prevenzione del cosiddetto burnout), oltre che più in generale ai valori aziendali e alla necessità di sentirsi attivamente coinvolti nel processo decisionale.

Sostenibilità sociale, ambientale ed economica nell’industria

Il coinvolgimento dell’industria è indispensabile al fine di raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile.

L’economia circolare si fonda infatti su un concetto di produzione, consumo e smaltimento dei beni opposto al “modello lineare” sul quale sono state basate le nostre economie.

Mentre quest’ultimo, infatti, poggia sui principi del “prendi, produci e getta”, l’economia circolare richiede un totale ripensamento della gestione del ciclo di vita del prodotto, volta alla riduzione delle materie prime utilizzate per la produzione e l’estensione del ciclo di vita del prodotto attraverso la riparazione o il riciclo del prodotto intero o delle sue parti.

La sfida della sostenibilità nell’industria riguarda tuttavia non solo i prodotti, ma gli stessi processi. L’industria manifatturiera è infatti uno dei settori più inquinanti: in Italia, la manifattura produce il 21,1% delle emissioni complessive, con quasi 80 milioni di tonnellate di CO2, circa 75 milioni di CH4 (metano) e poco più di 3 milioni di N2O (protossido d’azoto).

Non si tratta però unicamente di sfide ambientali: in quanto uno dei principali settori dell’economia e quindi come agente di produzione del valore, oltre che di creazione di impiego, è indispensabile che l’industria si occupi anche della sostenibilità sociale ed economica dei suoi modelli.

Come le aziende possono promuovere la sostenibilità sociale

L’impegno di un’azienda verso la sostenibilità sociale abbraccia diversi fronti:
 
  • quello interno, legato alla gestione della propria forza lavoro, quindi aspetti relativi alla selezione del personale, la sua remunerazione, la flessibilità lavorativa e altri benefici offerti, nonché la relazione con il management;
  • quello esterno, ossia l’impatto che l’azienda (o le sue attività) ha sulla comunità in cui è inserita e sui suoi diritti.
Sul fronte interno, l’implementazione di pratiche di sostenibilità sociale passa per:
 
  • politiche volte a promuovere inclusione e diversità all’interno della forza lavoro
  • remunerazione giusta
  • modelli lavorativi flessibili
  • coinvolgimento attivo della forza lavoro nell’implementazione delle pratiche di sostenibilità
  • formazione continua
  • una cultura aziendale che valorizza i lavoratori, con attenzione e rispetto ai bisogni anche attraverso benefit aziendali
Per quanto riguarda l’impatto esterno dell’azienda, la sostenibilità sociale si concretizza:
  • sia assicurandosi che tutti i processi della supply chain avvengano nel pieno rispetto dei diritti umani dei lavoratori e dei cittadini del territorio in cui questi processi hanno luogo,
  • che nel supporto ad azioni e progetti che possono in qualche modo contribuire a migliorare la vita della comunità che risiede sul territorio.

Casi di successo di aziende che promuovono la sostenibilità sociale

In uno scenario dove le aziende, e in particolar modo quelle della manifattura, faticano sempre maggiormente a trovare le competenze necessarie sul mercato del lavoro, la sostenibilità sociale è divenuta una leva di competitività.

Permette, infatti, di trattenere i talenti di cui l’azienda ha bisogno e di costruire le competenze che permettono all’azienda di evolvere secondo le esigenze e le opportunità di mercato.

La sostenibilità sociale è inoltre strumentale sia alla promozione del brand dell’azienda – visto il sempre maggiore interesse da parte di tutti gli stakeholder ai temi della sostenibilità –, oltre a determinare l’accesso o l’esclusione a importanti opportunità di mercato.

Occorre anche ricordare che dopo l’approvazione della Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) sono ora circa 50.000 le aziende europee che hanno l’obbligo di pubblicare ogni anno un bilancio di sostenibilità, dove l’azienda rendiconta il suo impatto sull’ambiente e la società, nonché le politiche che ha implementato per ridurre questo impatto o per migliorare le condizioni del territorio e della comunità in cui opera.

L’obbligo riguarda le grandi aziende e le PMI pubbliche, ad esclusione delle micro imprese. Non sorprende, quindi, che in questi anni si contino sempre più casi di aziende, sia corporate che PMI, virtuose sotto il punto di vista della sostenibilità sociale.

Strategie per integrare la sostenibilità sociale nella filiera industriale

Il coinvolgimento delle filiere industriali è indispensabile alla trasformazione sostenibile dell’industria. Per le aziende rappresenta una sfida, in quanto è ancora più difficile avere visibilità sui processi che non avvengono internamente.

Ancora una volta è il quadro normativo a spingere le aziende a prendere in analisi anche la dimensione sociale dell’impatto delle supply chain su ambiente, economia e persone.
Questo framework normativo, strumentale per raggiungere gli obiettivi fissati dal Green New Deal e dalle altre politiche europee di sostenibilità, ha il duplice obiettivo di incentivare comportamenti e strategie di sostenibilità (attraverso obblighi normativi, come quello della pubblicazione del bilancio di sostenibilità) e, al tempo stesso, fornisce alle aziende una guideline sui KPIs da misurare e sulle questioni che devono tenere in considerazione nell’analisi delle performance ESG lungo la catena di fornitura.

Sostenibilità sociale nella catena di fornitura: cosa prevede la legge europea sulla due diligence

Nel febbraio del 2022 la Commissione europea ha presentato la proposta per una legge che intende incentivare proprio questo tipo di controllo: la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDD).

L’obiettivo di questa direttiva è quello di promuovere un comportamento aziendale sostenibile e responsabile e di radicare le considerazioni sui diritti umani e sull’ambiente nelle operazioni delle aziende e nel governo societario. Le nuove norme garantiranno che le imprese affrontino gli impatti negativi delle loro azioni, anche nelle loro catene del valore all’interno e all’esterno dell’Europa.

L’attuale proposta prevede l’introduzione della due diligence per:
 
  • le società europee e le organizzazioni di altri Paesi che operano nell’UE con 500 dipendenti o più con un fatturato di almeno 150 milioni di euro
  • organizzazioni con almeno 250 dipendenti e un fatturato di 40 milioni di euro che operano in settori ad alto rischio in cui il potenziale di rischio sia per l’uomo che per l’ambiente è particolarmente elevato (come industria tessile e della pelle l’agricoltura e la silvicoltura, la pesca e l’estrazione mineraria)
  • società per azioni, società a responsabilità limitata, società finanziarie regolamentate e compagnie di assicurazione
Le PMI non sono direttamente interessate dalla direttiva, ma lo sono indirettamente: a loro l’obbligo, infatti, si applica nel caso in cui siano fornitori di uno dei soggetti a cui l’obbligo si applica direttamente.

Questi soggetti hanno la responsabilità di garantire che le aziende della propria supply chain non violino diritti dell’uomo e dell’ambiente. Esempi di violazione includono: lavoro forzato, lavoro minorile, salute e sicurezza sul lavoro inadeguate, sfruttamento dei lavoratori, violazioni ambientali come emissioni di gas serra, inquinamento o distruzione della biodiversità o degli ecosistemi.

Sostenibilità sociale e innovazione tecnologica

L’innovazione tecnologica è indispensabile per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità sociale.
Se questo legame è stato ancor più evidenziato negli ultimi anni – con la diffusione della consapevolezza che non può esserci sostenibilità senza innovazione digitale – già all’interno dell’Agenda 2030 veniva sottolineato il ruolo dell’innovazione tecnologica come “la base degli sforzi per raggiungere obiettivi legati all’ambiente, come l’aumento delle risorse e l’efficienza energetica”.

“Senza tecnologia e innovazione, non vi sarà industrializzazione, e senza industrializzazione non vi sarà sviluppo”, si legge nel documento.

Se il contributo del progresso tecnologico alla dimensione ambientale della sostenibilità è notevole e trasversale, non meno importanti sono i benefici per la società. Tra questi possiamo citare:
 
  • innovazioni nel campo della cura dei pazienti e nel trattamento di malattie invalidanti e croniche
  • miglioramento della sicurezza sul lavoro
  • migliori condizioni lavorative (flessibilità abilitata dalle tecnologie digitali, automatizzazione di task pericolose o potenzialmente dannose, etc.)
  • riduzione delle barriere fisiche di accesso a servizi essenziali ai cittadini (come nel caso dell’utilizzo della telemedicina in Paesi dove mancano determinate strutture mediche o specialisti)
Non va però dimenticato che se il progresso tecnologico può rappresentare, indubbiamente, un alleato a promuovere maggiore inclusione sociale e migliori condizioni di vita e di lavoro, è un processo che deve essere governato e attentamente indirizzato onde evitare di ottenere i risultati opposti.

Si pensi, ad esempio, alla digitalizzazione di servizi primari in Paesi dove non tutti i gruppi sociali hanno le competenze digitali necessarie ad accedervi, o non dispongono di adeguata connessione e dispositivi digitali. In tali contesti, senza politiche mirate a rimuovere queste barriere di accesso, la digitalizzazione di servizi essenziali rischia di acutizzare le disuguaglianze tra i cittadini.

Similmente, l’automazione di alcune professioni o compiti può contribuire a migliorare le condizioni di lavoro, ma senza politiche e programmi di riqualificazione dei lavoratori a cui prima quelle mansioni erano affidate, si rischia di perdere posti di lavoro.

Formazione dei dipendenti sulla sostenibilità sociale

La sostenibilità all’interno delle aziende è prima di tutto una questione di cultura. Così come avviene nei progetti di digitalizzazione, anche le strategie di sostenibilità sociale richiedono il coinvolgimento di tutta la forza lavoro.
Questo percorso spesso non di facile gestione rappresenta al tempo stesso una sfida e un’opportunità. Non mancano, infatti, esempi di aziende che dopo aver affrontato il cambiamento rivendono sottoforma di servizio il know-how acquisito o le soluzioni sviluppate internamente.
 

Tendenze future nella sostenibilità sociale e impatto sull’industria

Nel prossimo futuro possiamo attenderci che i temi della sostenibilità sociale assumeranno un’importanza sempre maggiore nell’industria, anche sotto la spinta dell’introduzione di nuovi obblighi in materia, come la Corporate Sustainability Due Diligence Directive sopra citata.

La normativa deve ancora essere approvata (si devono aprire i negoziati per trovare un accordo sul testo tra Consiglio, Parlamento e Commissione) e una volta che il testo verrà approvato gli Stati membri avranno due anni di tempo per adeguarsi.
Per l’industria, questo vorrà dire adottare approcci e soluzioni di analisi in grado di promuovere la visibilità di ciò che accade lungo la supply chain e permettere di ridurre la complessità di tale rendicontazione.

Inoltre, così come accaduto con il moltiplicarsi di servizi basati sui dati, lo sforzo delle aziende verso la costruzione di strategie orientate alla sostenibilità contribuirà ad arricchire il mercato di nuovi prodotti e servizi.

Vi è anche un altro tema, di certo non nuovo, che con tutta probabilità continuerà ad animare il dibattito, anche al di fuori dei confini dell’industria: l’impatto delle tecnologie digitali sui lavoratori e, in particolar modo, dell’AI.

Man mano che l’AI verrà integrata sempre maggiormente (e in maniera più autonoma) nei processi aziendali legati alla gestione delle risorse umane (dal processo di selezione alle analisi di performance) sarà indispensabile valutare la correttezza e la non discriminazione dei sistemi adottati, così come il rispetto del lavoro dell’uomo da parte di questi sistemi (si pensi all’utilizzo dell’AI generativa nella creazione di immagini, testi o di modelli di AI).

Man mano che l’industria si muove lungo il percorso di trasformazione, la sostenibilità sociale (così come la sostenibilità in senso più ampio) potrà essere raggiunta solo se si tiene conto di questo duplice lato dell’innovazione tecnologica come fattore abilitatore ed elemento di rischio. (Fonte: Michelle Crisantemi, https://www.innovationpost.it/)

 

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