
Il regolamento europeo 2024/1143 che assegna ai Consorzi di tutela un ruolo chiave nello sviluppo dei servizi turistici, sancisce l’importanza dell’intersezione tra Indicazioni Geografiche e turismo nella creazione di valore economico. Non che la complementarietà tra turismo e produzioni di qualità – agroalimentari ma non solo – sia nuova in letteratura o nelle politiche. Occorrono però chiavi di lettura rinnovate e uno sguardo a grana fine date le recenti evoluzioni della domanda di cibo, la democratizzazione del turismo e le prerogative delle IG. Un inquadramento di dettaglio dei meccanismi che generano valore economico all’intersezione tra IG e turismo mette a disposizione di operatori, policymaker e ricercatori un insieme di logiche a cui attingere per disegnare strategie d’impresa e territoriali. In particolare, consente di avere chiare le opzioni con cui creare economia, occupazione, remunerazioni eque dei fattori produttivi, la preservazione dei beni comuni – paesaggio, culture, tradizioni – che differenziano i prodotti DOP e i loro territori.
Il Turismo e IG come leva per le economie locali
Una prima logica di creazione di valore all’intersezione tra DOP e turismo è la generazione di flussi di ricavo per gli attori del sistema dell’accoglienza e la differenziazione dei revenue stream per i produttori. Sul primo fronte, quello degli operatori dell’accoglienza, molti sono i casi documentati in letteratura: le IG producono un effetto volano nel far nascere o consolidare il comparto turistico (ospitalità, ristorazione, vendita di esperienze). Si tratta di una logica cruciale soprattutto per aree interne e territori rurali in cui alla produzione di cibo di qualità oggi si oppone una generale tendenza allo spopolamento e alla fuga di giovani talenti. Per le aziende agroalimentari, il turismo nei luoghi della produzione è un canale di reddito aggiuntivo rispetto alla distribuzione. Non solo è possibile infatti “far pagare” l’esperienza: questa incentiva il turista a comprare sul luogo consentendo all’azienda di trattenere marginalità.
Educare il turista per rafforzare il legame con il territorio
Su un secondo piano, e legato alla sostenibilità nel tempo del valore economico, è utile inquadrare le evoluzioni della domanda sia di prodotto che di turismo. La crescente curiosità dei consumatori globali e il successo di molte DOP pone i produttori di fronte a un rischio: un distacco nel percepito comune tra il “brand” (ad esempio Prosecco, Champagne, Parmigiano) e il “sottostante” geografico, la zona di pro duzione con tutti i suoi attributi tangibili e intangibili. Il cortocircuito è dannoso per i ben noti problemi legati a frodi, Italian sounding e compressione della marginalità dei prodotti “originali” che rischiano di confondersi con alternative standard. Questa confusione, tuttavia, può anche essere spia della necessità di educare fasce di consumatori emergenti e votate all’esplorazione e all’apprendimento. Il turismo nelle aree di produzione, in questo senso, genera valore economico – quantificabile, se si vuole, sotto forma di premium price riconosciuto al prodotto “originale” in più modi. Il turismo consente al visitatore di esperire direttamente e in modo immersivo (tramite la presenza e l’esperienza) il significato più profondo del prodotto, la mescola unica tra cibo, paesaggio, culture materiali e immateriali. Osservare i produttori al lavoro e i luoghi del produrre consente soprattutto di apprezzare quel “genius loci” che è codificato nei disciplinari e può essere comunicato in modo coinvolgente e profondo. Insomma: se da un lato la democratizzazione del turismo genera rischio di saturazione di molte mete “agognate”, dall’altra offre ai territori delle DOP la possibilità di educare il turista/consumatore, tramite esperienze progettate, eseguite e offerte da operatori dell’accoglienza, produttori e comunità.
Il turista come ambasciatore delle DOP
Quanto sopra descritto favorisce due aspetti. Il primo è che il turista, nel suo paese d’origine, saprà discriminare, comprare “originale” e influenzare i suoi pari. In secondo luogo, la tendenza sempre più marcata dei turisti a condividere esperienze tramite canali digitali – si immaginino le foto e i video dei paesaggi del produrre, i reel dalle cantine e dagli impianti produttivi, le stories nei ristoranti – li rende ambasciatori e amplificatori del messaggio di qualità emesso dai produttori e dai sistemi territoriali. In questo modo, il valore intangibile del prodotto a marchio DOP può essere propagato in mercati che stanno costruendosi una geografia del gusto e del viaggio tramite immagini e suoni legati all’esperienza turistica. Tutto ciò contribuisce ad aumentare la visibilità e la fiducia del marchio collettivo, raggiungendo un pubblico più vasto in modo efficace. Questo incrementa il valore percepito e l’identità della DOP come marchio di garanzia e come simbolo culturale. Una DOP visitabile diventa più memorabile e distintiva, migliorando il suo posizionamento competitivo anche nei mercati esteri.
Esperienze multisettoriali e valore aggiunto per i territori
Vi è una terza prospettiva da cui è utile considerare il potenziale generativo di valore legato al Turismo DOP. Ha che fare con la possibilità di offrire pacchetti di “tipicità” per cui pubblici diversi sono disposti a riconoscere prezzi più elevati rispetto alle alternative. Da una parte i territori a vocazione DOP sono caratterizzati dalla presenza di produttori di altissima qualità la cui ricerca di eccellenza e aderenza a disciplinari rigorosi genera domanda di tecnologie, impianti, servizi, strumenti avanzati. Laddove vi sono produttori di vini di alta qualità spesso si agglomerano produttori di tecnologie all’avanguardia e fornitori di servizi complementari e competenze sofisticate. Il Turismo DOP, in questo senso, si può intendere anche come turismo “business”, non solo consumer: l’idea che sui territori di produzione delle DOP un operatore del food estero possa trovare ispirazione, tecnologie da comprare e usare nelle proprie produzioni, è tutt’altro che marginale. Su un piano più “orizzontale”, molto spesso il “genius loci” dei territori IG si manifesta a cavallo di filiere diverse: la cura e la perizia nella produzione di cibo e bevande spesso si accompagna a eguale cura nell’artigianato o nell’industria di qualità – si pensi all’Emilia del food e dell’automotive di altissimo livello. Un turismo interessato a un’esperienza differenziata a livello orizzontale offre ai territori la possibilità di comporre pacchetti turistici variegati, multisensoriali e multisettoriali, in grado di ovviare allo schiacciamento della domanda turistica su poche attrattive a rischio banalizzazione, standardizzazione e compressione dei margini e dei punti prezzo, tipica piaga delle città affette da overtourism e da monoculture.
Una sfida per il turismo italiano: qualità e lavoro qualificato
Vale la pena evidenziare una sfida pressante sia per la ricerca che per le politiche. Il turismo, per una serie di fattori storici ed economici, si caratterizza, in Italia più che in altri Paesi, per la difficoltà nell’elevare il valore aggiunto generato e nel creare lavoro di qualità (ben remunerato e che porta a premio la competenza). Le DOP hanno come caratteristiche genetiche la tensione verso l’elevazione qualitativa di processo, prodotto, lavoro e l’attenzione alla creazione di valore lungo tutta la filiera: se esse diverranno i pivot intorno ai quali animare, iniziare o rinvigorire il comparto dell’accoglienza, è opportuno che traducano tali tensioni positive nello sviluppo di un comparto turistico adeguatamente qualificato.
A cura della redazione
Fonte: Consortium 27 / N° 02/2025