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Pratiche commerciali sleali nell’agroalimentare: la prima valutazione della Direttiva UE

Primi effetti positivi, una maggiore tutela per agricoltori e i piccoli fornitori e le sfide da affrontare

Pratiche commerciali sleali nell’agroalimentare: la prima valutazione della Direttiva UE
Pratiche commerciali sleali nell’agroalimentare: la prima valutazione della Direttiva UE La Commissione europea ha pubblicato in questi giorni i risultati della prima valutazione sistematica dell’applicazione della Direttiva (UE) 2019/633, dedicata al contrasto delle pratiche commerciali sleali (UTP) nella filiera agroalimentare.

La valutazione, basata sull’articolo 12 della Direttiva, analizza l’efficacia delle misure nazionali, la cooperazione tra le autorità competenti (EA) e l’armonizzazione minima a livello UE, coprendo il periodo 2019‑2025 con particolare attenzione al triennio 2022‑2024.

Il documento si fonda su uno studio esterno di supporto alla valutazione, sulle relazioni trasmesse dagli Stati membri, su analisi del JRC e su contributi provenienti dalle autorità competenti e dalle principali organizzazioni della filiera, integrando anche pareri del CESE e di piattaforme di esperti.

La metodologia utilizzata combina analisi multicriteriali, modelli di costo e approcci qualitativi, con l’obiettivo di fornire una visione completa dell’impatto della Direttiva.

La Direttiva nasce dall’esigenza di riequilibrare rapporti commerciali caratterizzati da marcate asimmetrie di potere e si inserisce in un più ampio quadro politico dell’UE volto a rafforzare il ruolo economico degli agricoltori e a garantire condizioni commerciali più eque lungo l’intera filiera.

Nonostante alcune limitazioni — come il breve periodo di attuazione, le differenze nei recepimenti nazionali, la difficoltà di reperire dati riservati e l’influenza di fattori esterni quali pandemia e inflazione — la valutazione fornisce una base solida per possibili revisioni della Direttiva e per interventi volti a migliorare l’efficienza e la trasparenza della filiera agroalimentare.

Scopo e ambito della valutazione

Negli ultimi anni, la crescente concentrazione del potere contrattuale nella parte a valle della filiera ha favorito pratiche commerciali sleali nei confronti di agricoltori e piccoli fornitori.

La Direttiva UTP (Unfair Trading Practices) ha introdotto un quadro minimo uniforme di tutela, definendo pratiche vietate e indicazioni operative, recepite dagli Stati membri con approcci diversi, generando un panorama regolatorio eterogeneo.

La valutazione, basata sull’articolo 12 della Direttiva UE 2019/633, analizza l’efficacia delle misure nazionali nel contrasto alle pratiche sleali e la cooperazione tra le autorità competenti (EA).

Il periodo valutato va da aprile 2019 a marzo 2025, con focus sul triennio 2022‑2024, concentrandosi sull’armonizzazione minima a livello UE senza approfondire sistematicamente i singoli recepimenti nazionali, in linea con il principio di sussidiarietà.

La raccolta dati ha integrato studi di supporto, oltre 130 interviste, workshop, tre indagini mirate, 10 casi di studio su filiere selezionate, relazioni annuali degli Stati membri e indagini pubbliche, includendo anche pareri del CESE e della piattaforma Fit4Future.

La metodologia combinava analisi multicriteriali (MCDA), modelli di costo, analisi della catena di approvvigionamento, statistiche descrittive e approcci qualitativi.

La valutazione considera l’efficacia, l’efficienza, la pertinenza, la coerenza e il valore aggiunto della Direttiva.

Le principali limitazioni derivano dal breve periodo di attuazione, dalle differenze nei recepimenti nazionali, dalla difficoltà di reperire dati riservati o influenzati dal “fattore paura” e da fattori esterni come pandemia e inflazione, che complicano l’attribuzione degli effetti.

Nonostante queste sfide, la valutazione costituisce una base solida per interventi futuri volti a migliorare la trasparenza, l’equità e l’efficienza della filiera agroalimentare nell’UE.

Sintesi dei principali risultati

Quale era il risultato atteso dell’intervento?

Negli ultimi anni, gli squilibri di potere nella filiera agroalimentare dell’UE hanno reso i produttori agricoli e i piccoli fornitori particolarmente vulnerabili alle pratiche sleali dei partner a valle.
Questo fenomeno deriva dal potere contrattuale, distinto dal potere di mercato: mentre quest’ultimo riduce sempre il volume di scambi, il potere contrattuale influisce sulla distribuzione dei benefici nelle transazioni senza ridurre necessariamente gli scambi complessivi.

La frammentazione della produzione, la deperibilità dei prodotti e l’offerta anelastica a breve termine accentuano tale vulnerabilità, esponendo gli agricoltori a comportamenti opportunistici e al fenomeno del “holdup”.
Per affrontare questi squilibri, la Direttiva UTP (UE 2019/633) stabilisce un quadro minimo di protezione che vieta sedici pratiche commerciali sleali, di cui dieci sempre e sei solo se non preventivamente concordate.

La Direttiva si applica a prodotti agricoli e alimentari e ai servizi accessori, mirando a proteggere soprattutto i fornitori più deboli lungo tutta la filiera.
Le autorità nazionali competenti (EA) hanno poteri investigativi, sanzionatori e di pubblicazione delle decisioni, e operano in rete a livello UE per gestire anche i casi transfrontalieri.

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Figura 1: Tipologie di pratiche commerciali sleali secondo la Direttiva

La logica di intervento prevista è chiara: norme uniformi e poteri delle EA conducono alla riduzione delle pratiche sleali, garantendo maggiore equità, fiducia e trasparenza nella filiera.

L’azione mira anche a sostenere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, in particolare Fame Zero (SDG 2), Lavoro dignitoso e crescita economica (SDG 8) e Innovazione industriale (SDG 9).

Gli impatti attesi erano prevalentemente economici, stimati tra 2,5 e 8 miliardi di euro annui per le imprese, con costi trascurabili per aziende e amministrazioni pubbliche.

Gli effetti sociali includevano maggiore prevedibilità nelle relazioni commerciali e rafforzamento della fiducia tra partner; gli effetti ambientali erano indiretti, derivanti da possibili investimenti in pratiche sostenibili.

I punti di confronto per valutare il successo della Direttiva includono il numero di casi gestiti dalle EA, la percezione degli operatori sul verificarsi di pratiche sleali, l’efficacia delle misure preventive e reattive e la cooperazione tra autorità nazionali. In questo modo, è possibile verificare se la Direttiva abbia effettivamente migliorato la trasparenza, l’equità e il funzionamento della filiera agroalimentare UE.

Come si è evoluta la situazione nel periodo di valutazione?

La Direttiva sulle pratiche commerciali sleali (UTP) ha stabilito una base minima di armonizzazione nell’UE, volta a proteggere i fornitori contro pratiche commerciali scorrette.
Gli Stati membri dovevano notificare le misure di recepimento entro maggio 2021 e applicarle entro novembre 2021, ma nessuno ha completato l’attuazione nei tempi previsti, rendendo la Direttiva pienamente operativa solo dalla fine del 2022.

Le scelte legislative sono state molto diversificate: alcuni Stati hanno introdotto leggi specifiche, altri hanno modificato normative preesistenti, con variazioni nell’ambito di applicazione, nella definizione delle pratiche sleali e nelle soglie di fatturato tutelate.
La maggior parte distingue tra pratiche “nere” e “grigie”, e in alcuni casi ha introdotto regole più severe, ad esempio per i ritardi di pagamento, mentre le sanzioni e i meccanismi di controllo differiscono ampiamente tra Stati membri.

Ogni Stato membro ha designato un’Autorità di vigilanza con poteri minimi definiti dalla Direttiva, ma l’applicazione effettiva dipende dalle risorse, dall’esperienza preesistente e dalla strategia scelta, con approcci amministrativi o giudiziari diversi.

Tra il 2021 e il 2024, le autorità hanno avviato oltre 4.600 indagini, di cui 754 hanno portato all’accertamento di infrazioni, per un totale di sanzioni significative.
La cooperazione tra autorità è stata rafforzata attraverso la Rete per l’applicazione delle norme UTP e scambi bilaterali, migliorando l’efficacia dei controlli, in particolare per i casi transfrontalieri.

Le indagini tra i fornitori mostrano una tendenza generale alla diminuzione delle pratiche sleali, soprattutto quelle più gravi, sebbene la consapevolezza della Direttiva rimanga limitata, soprattutto tra i produttori agricoli.

I casi di studio evidenziano approcci differenti: in Spagna la legislazione preesistente e l’AICA hanno condotto migliaia di azioni disciplinari, mentre nei Paesi Bassi l’attuazione è più recente e il numero di casi rimane contenuto, in parte per scarsa consapevolezza tra gli operatori.

Gli effetti indesiderati emergono principalmente dalle differenze tra recepimenti nazionali, con applicazione incoerente in contesti transfrontalieri e protezione anche dei grandi fornitori.
Il periodo iniziale di attuazione è stato inoltre influenzato da fattori esterni come la pandemia e la guerra in Ucraina, che hanno inciso sui prezzi e sui costi degli input.

Nel complesso, la Direttiva ha garantito una protezione minima uniforme nell’UE, pur lasciando margini di discrezionalità significativi tra Stati membri nell’applicazione e nella consapevolezza degli operatori, con segnali positivi di riduzione delle pratiche sleali sul campo.

Risultati della valutazione

Approcci eterogenei e livello di applicazione da parte delle Autorità di Vigilanza

Tra il 2021 e il 2024 sono state rilevate 754 infrazioni, un numero relativamente basso rispetto al volume di contratti e transazioni nel settore agroalimentare dell’UE.
Questa discrepanza ha portato a percezioni divergenti tra gli stakeholder: i rivenditori interpretano il dato come segnale di una riduzione delle pratiche commerciali sleali, mentre produttori agricoli e trasformatori mantengono una visione critica, sottolineando come il timore di ritorsioni limiti la presentazione di reclami e, di conseguenza, l’efficacia delle misure applicative.
La polarizzazione delle opinioni lungo la filiera risulta quindi un fattore chiave da considerare nell’analisi complessiva.
In alcuni Stati membri, le Autorità di Vigilanza adottano modalità meno formali per affrontare le pratiche sleali rispetto all’avvio di indagini o al deferimento dei casi ai tribunali.

In Francia, ad esempio, la mediazione è obbligatoria prima di qualsiasi azione giudiziaria, mentre in Germania alcune indagini sono state interrotte grazie alla collaborazione dell’autore con l’Autorità Garante della Concorrenza. In Danimarca, il dialogo tra parti e associazioni di riferimento ha permesso di risolvere diverse questioni, mentre in Austria l’“Ufficio per la correttezza” effettua un’analisi preliminare riservata prima di trasmettere eventuali casi all’autorità competente.

Queste esperienze mostrano come l’attività di applicazione non sia strettamente correlata al verificarsi effettivo delle pratiche sleali, ma dipenda anche da fattori come l’esperienza normativa, le risorse disponibili e la struttura della filiera in ciascuno Stato membro.

Eterogeneità della filiera e recepimento della Direttiva

La situazione lungo la filiera agricola risulta molto eterogenea.
La quota di produzione agricola nel valore aggiunto varia da meno del 10% a Malta e Lussemburgo fino a circa il 50% in Bulgaria e Romania, mentre l’integrazione della filiera, misurata tramite la quota di produzione ortofrutticola commercializzata da organizzazioni di produttori, spazia da valori trascurabili a oltre l’85% in Belgio.

Anche il recepimento della Direttiva da parte degli Stati membri è vario, con alcune legislazioni nazionali che vanno oltre i requisiti minimi e con risorse dedicate all’applicazione non ancora pienamente disponibili in tutti i Paesi.

Percezione delle pratiche commerciali sleali

Le indagini condotte rivelano che per circa il 43% degli intervistati non vi sono stati cambiamenti nel numero di pratiche commerciali sleali, mentre un quarto degli intervistati dichiara di non averne riscontrate e un altro quarto segnala una riduzione.

Tra i produttori agricoli, circa il 70% percepisce una sostanziale stabilità delle pratiche sleali, pur riconoscendo progressi indiretti come la revisione dei contratti.

I trasformatori riportano una diminuzione delle pratiche sleali nere e, in misura minore, delle grigie, mentre grossisti e dettaglianti segnalano miglioramenti concreti, con aggiornamenti dei contratti e formazione adeguata. Per i fornitori extra-UE, la Direttiva è applicabile se l’acquirente ha sede nell’UE, ma permangono limitazioni legate a scarsa consapevolezza e barriere linguistiche.

Misure preventive e consapevolezza

Tra le misure preventive (ex ante) introdotte, le campagne informative, i workshop e l’obbligo di contratti scritti sono percepiti come efficaci, soprattutto dai rivenditori.

Altri strumenti, come il dialogo con l’autorità competente, la nomina di responsabili interni per la conformità e le segnalazioni riservate, hanno un’efficacia media-bassa, influenzata dal timore di ritorsioni e dall’incertezza sull’anonimato.

Misure come mediazione e Ombudsman risultano efficaci, sebbene poco diffuse.
In generale, la Direttiva ha promosso maggiore consapevolezza sulle pratiche sleali e stabilito standard contrattuali più chiari lungo la filiera.

Bassi tassi di denuncia e ostacoli

Nonostante le autorità possano avviare indagini d’ufficio o sulla base di reclami, solo il 51% degli intervistati conosce l’ente competente; nelle PMI la percentuale scende al 22%.

Il timore di ritorsioni, la percezione delle pratiche come consuetudinarie e la sfiducia nell’efficacia delle autorità sono tra i principali ostacoli alla denuncia.

Le associazioni di fornitori possono presentare reclami collettivi, ma questo strumento resta poco utilizzato. I casi d’ufficio e le segnalazioni anonime rappresentano strumenti essenziali per superare la riluttanza a denunciare, sebbene la loro efficacia rimanga limitata in settori concentrati.

Sanzioni e deterrenza

Il principale strumento di applicazione resta la deterrenza tramite sanzioni pecuniarie e misure reputazionali, considerate efficaci se severe e applicate rigorosamente.

Alcuni Stati membri adottano anche meccanismi correttivi o compensativi, come impegni di conformità o annullamento di clausole contrattuali, percepiti positivamente dai rivenditori. 
Gli agricoltori ritengono più efficaci le sanzioni pecuniarie e la pubblicazione delle decisioni, mentre le misure aggiuntive restano poco note.
Complessivamente, la Direttiva è valutata positivamente per il contributo alla promozione di una cultura di correttezza nelle pratiche commerciali.

Cooperazione tra autorità

Le iniziative di cooperazione tra le autorità sono considerate utili, ma limitate dal quadro giuridico e dalla scarsità di strumenti pratici per lo scambio di informazioni.
Migliorare il coordinamento, soprattutto per i casi transfrontalieri, resta una priorità.

La Commissione Europea ha proposto un regolamento volto a facilitare la cooperazione tra le autorità, con l’obiettivo di garantire condizioni di parità e una maggiore efficacia nell’applicazione delle norme.

Benefici della Direttiva

Il principale beneficio percepito è il rafforzamento della protezione per le vittime di pratiche commerciali sleali, accompagnato da maggiore trasparenza nei prezzi, riduzione delle modifiche unilaterali e aumento dei contratti scritti.

Altri vantaggi includono una maggiore fiducia tra fornitori e acquirenti, sensibilizzazione sulle pratiche sleali e promozione di una cultura della correttezza lungo tutta la filiera, elementi che contribuiscono a consolidare standard più equi nelle negoziazioni contrattuali.

In Spagna, l’attuazione della Direttiva sulle pratiche commerciali sleali (UTP) ha avuto un impatto complessivamente positivo sulle filiere del vino e della frutta e verdura, soprattutto nel ridurre i ritardi nei pagamenti e migliorare la certezza contrattuale.
La legge spagnola ha contribuito a limitare le pratiche sleali, con il “naming and shaming” e le sanzioni percepite come strumenti efficaci, anche se con risultati variabili a seconda della fase della filiera.
L’obbligo di registrazione dei contratti, introdotto nel 2021, ha ulteriormente rafforzato la mitigazione di tali pratiche.
Tuttavia, rimangono difficoltà nel controllare comportamenti di intermediari nei mercati centrali, in particolare per prodotti deperibili.

I costi diretti della legge per le fasi a monte della filiera sono stati contenuti, mentre quelli a valle, soprattutto per acquirenti e dettaglianti, possono essere più elevati. Gli agricoltori hanno percepito benefici significativi, soprattutto grazie alla riduzione dei costi finanziari legati ai ritardi di pagamento, con un potenziale aumento del flusso di cassa annuale stimato fino a 175.000 euro per azienda in alcuni Paesi.

Nei Paesi Bassi, la legislazione UTP è ben conosciuta dai grandi operatori, con effetti preventivi sui termini di pagamento e sui requisiti contrattuali.
Tuttavia, la consapevolezza tra fornitori e acquirenti resta limitata, e il sistema di segnalazione anonima non sempre garantisce piena protezione.
I costi sostenuti dalle autorità e dagli operatori variano significativamente, ma generalmente sono considerati proporzionati dai produttori agricoli, mentre grossisti e dettaglianti percepiscono i costi come più gravosi rispetto ai benefici ricevuti.
La Direttiva UTP mostra buona coerenza e complementarità con altri strumenti UE, come il regolamento OCM, la Direttiva sui ritardi di pagamento, la CSDDD e le norme sul diritto della concorrenza. Questi strumenti, insieme a iniziative volontarie come il Codice agroalimentare e la Supply Chain Initiative, contribuiscono a rafforzare la tutela dei fornitori più deboli nella filiera agroalimentare, garantendo trasparenza, equità contrattuale e resilienza del settore.

L’intervento è ancora attuale?

La pertinenza complessiva della Direttiva UTP è stata giudicata soddisfacente dalla maggior parte delle autorità nazionali e delle associazioni imprenditoriali, mentre tra i rivenditori al dettaglio solo una minoranza ha espresso parere positivo.

Alcuni intervistati hanno rilevato discrepanze limitate tra gli obiettivi originari della Direttiva e le esigenze attuali, senza però metterne in discussione la rilevanza complessiva.

La Direttiva non affronta le cause principali della debolezza contrattuale dei fornitori, in particolare la frammentazione dell’offerta di piccoli agricoltori e cooperative, né i meccanismi di formazione dei prezzi, sebbene migliori la trasparenza contrattuale.

Nei casi di studio, come in Spagna, la Direttiva ha fornito una base armonizzata a livello UE, ma permangono differenze significative nell’attuazione nazionale, con la legislazione spagnola percepita come più severa.

In Paesi Bassi, alcune soglie di fatturato e difficoltà operative limitano l’efficacia della normativa, sebbene questa contribuisca a definire uno standard minimo di pratiche commerciali leali.
Emergono alcune nuove pratiche commerciali, come il contributo dei fornitori a iniziative volontarie dei rivenditori o il modello “pay on scan”, ma sono ancora poco diffuse e non compromettono la pertinenza della Direttiva. Infine, fattori esterni come la volatilità dei prezzi o le interruzioni nelle filiere non hanno finora reso la Direttiva inadatta alle esigenze originarie.

Quali sono le conclusioni e le lezioni apprese?

La Direttiva sulle pratiche commerciali sleali (UTP) appare complessivamente pertinente e utile nella promozione di una cultura imprenditoriale più equa nelle filiere agroalimentari dell’UE.
Le evidenze indicano una diminuzione delle pratiche sleali nere e grigie e un miglioramento nei termini di pagamento.
Gli agricoltori e i trasformatori segnalano piccoli miglioramenti, mentre i rivenditori riconoscono gli sforzi di conformità dei grandi acquirenti come fattore chiave.

Nonostante l’aumento delle indagini UTP, il loro numero rimane limitato rispetto al volume complessivo delle transazioni, e solo un terzo ha portato all’accertamento di violazioni.

Il breve periodo di attuazione limita la possibilità di giudicare definitivamente l’efficacia della Direttiva nel ridurre le pratiche sleali.

I principali ostacoli al pieno potenziale della Direttiva includono la scarsa consapevolezza tra gli operatori, l’applicazione nazionale insufficiente in alcuni Stati membri e la cooperazione limitata tra le autorità di vigilanza, soprattutto in ambito transfrontaliero.

I costi derivanti dall’applicazione della Direttiva risultano proporzionati ai benefici, soprattutto per i fornitori, mentre per gli acquirenti, come i rivenditori, i costi superano i benefici senza generare danni operativi significativi.

La Direttiva ha creato valore aggiunto a livello UE, stabilendo un livello minimo di protezione dalle pratiche sleali e contribuendo a ridurre le differenze nazionali, anche se la sua natura di armonizzazione minima ha lasciato spazio a eterogeneità nell’applicazione.

Non sono emerse nuove esigenze concrete, e molte delle proposte di modifica già discusse indicano che la Direttiva rappresenta un approccio equilibrato e proporzionato.

Rimane centrale il miglioramento della sensibilizzazione degli operatori, in particolare delle PMI, e il potenziamento della cooperazione transfrontaliera tra autorità di vigilanza.
La raccolta di dati quantitativi sui costi e sui danni delle pratiche sleali continua a rappresentare una sfida, suggerendo la necessità di un monitoraggio periodico a livello UE e nazionale più strutturato. (Fonte: Elisabetta Simonetti, https://www.ruminantia.it/)

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