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Prosciutto di Parma DOP, una questione di microclima

Il vento del Tirreno è uno dei segreti della stagionatura del crudo emiliano: a tutela dell’ambiente e del comparto, che coinvolge tremila persone, il Consorzio del Prosciutto di Parma ha concluso un progetto di transizione ecologica. Il bilancio? Un software per ridurre l’impatto della produzione. E un’accademia che forma i nuovi addetti

Prosciutto di Parma DOP, una questione di microclima
Prosciutto di Parma DOP, una questione di microclima

Dobbiamo tutelare il nostro microclima o perderemo il Prosciutto di Parma, un prodotto a indicazione geografica che, in quanto tale, è legato inscindibilmente alla zona in cui viene realizzato». Stefano Fanti, direttore generale del Consorzio del Prosciutto di Parma, l’organo che tutela e promuove questa eccellenza italiana, non ha mezzi termini: il legame tra la DOP e il territorio non è un dettaglio romantico, ma la condizione stessa dell’esistenza del prosciutto.

La cui lavorazione — dalla trasformazione della materia prima alla fetta nel piatto — avviene in un’area circoscritta che comprende la provincia di Parma a sud della via Emilia, a cinque chilometri da quest’ultima, fino a un’altitudine di goo metri. Una porzione di regione delimitata a est dal fiume Enza e a ovest dallo Stirone. «Qualità e caratteristiche del prodotto — prosegue Fanti — devono potersi ricondurre a questo territorio perché è qui, e solo qui, che esistono le condizioni climatiche ideali per la stagionatura».

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Il Consorzio annuncia la conclusione del progetto di transizione ecologica avviato nel 2022. Vale a dire un processo trasversale con cui società, economie e sistemi produttivi cambiano per diventare più sostenibili, riducendo l’impatto sull’ecosistema e contrastando gli sbalzi climatici.

Obiettivo: «Aiutare le aziende del comparto a migliorare le prestazioni ambientali». Una iniziativa, questa, realizzata anche grazie al supporto di partner di alto profilo: il Politecnico di Milano in primis, lo spin-off Enersem per lo sviluppo del software previsto dalla ricerca, e il CSQA, acronimo per Certificazione Sicurezza Qualità Agroalimentare, ovvero l’organismo di certificazione italiano che valuta la conformità di prodotti, processi e sistemi aziendali rispetto a standard di qualità, sicurezza e sostenibilità.

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Fonte: Cook – Corriere della Sera

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