Con la Raccomandazione 2013/179/CE è stata ufficialmente introdotta nell’Unione Europea la Product Environmental Footprint, una metodologia che regolamenta il calcolo, la valutazione, la convalida di parte terza e la comunicazione a tutti gli stakeholder dell’impronta ambientale dei prodotti e dei servizi.
L’approccio seguito dalla Commissione Europea mette a disposizione delle imprese un metodo che consente di elaborare una rosa di indicatori ambientali relativi alle principali categorie di impatto ambientale (emissioni di gas ad effetto serra, efficienza nell’uso delle risorse, impronta idrica, etc.) che il produttore, previa convalida effettuata da un soggetto terzo, è legittimato a utilizzare liberamente a fini competitivi, in particolar modo nella comunicazione di marketing e nei confronti del mercato.
La possibile valorizzazione delle impronte ambientali è ad ampio spettro: dall’indicazione sul packaging del prodotto, fino all’utilizzo in documentazione ufficiale atta a comprovare il rispetto di criteri inseriti dei bandi per appalti pubblici (cosiddetto Green Public Procurement).
La metodologia della Commissione si propone, come obiettivo principale, di fornire agli interessati degli orientamenti tecnici tanto più dettagliati possibile per l’effettuazione dello studio, in modo tale da aumentare la comparabilità di studi e risultati fatti da analisti diversi su prodotti dello stesso tipo.
La Raccomandazione 2013/179/EU fornisce sia orientamenti generali per il calcolo della PEF, sia requisiti metodologici specifici delle categorie di prodotto da utilizzare in regole di categoria relative all’impronta ambientale dei prodotti (PEFCR, Product Environmental Footprint Category Rules).
Le PEFCR sono un’estensione e un’integrazione necessaria degli orientamenti più generali per gli studi sulla PEF e hanno l’obiettivo di fornire dettagliate linee guida tecniche su come condurre uno studio per la valutazione di impatto ambientale di prodotto.
Nel nostro Paese sono molti coloro che stanno dimostrando di credere in questa prospettiva.
Innanzitutto il versante degli “utilizzatori”, ovvero le imprese, con un numero sempre crescente di grandi e piccoli player di mercati intermedi e di largo consumo che hanno sviluppato e sottoposto a certificazione di parte terza la propria impronta ambientale (basti pensare a Luxottica per gli occhiali Rayban, Carlsberg per molte proprie birre, etc.).
In secondo luogo gli “intermediari” tra la competitività delle imprese e la difesa dei consumatori, ovvero le istituzioni, con il Ministero dell’Ambiente in prima linea nel supportare più di duecento progetti di sviluppo da parte del mondo imprenditoriale, attraverso il proprio programma di valutazione dell’impronta ambientale, nel cui ambito sono stati erogati recentemente 4 milioni di euro di finanziamento a imprese impegnate su questo fronte.
Anche le Regioni italiane sostengono in modo convinto la diffusione dell’impronta ambientale, soprattutto fra le piccole e medie imprese e i distretti industriali, facendosi promotrici di una rete (CARTESIO – Cluster, Aree Territoriali e Sistemi di Impresa Omogenei) che sta sperimentando sul campo l’impronta ambientale comunitaria con il progetto europeo PREFER (Product Environmental Footprint Enhanced by Regions).
La principale incognita rimane legata alla reazione dei “destinatari” dell’impronta ambientale.
Saranno disposti i comuni cittadini, non esperti della materia, ad accettare come guida delle proprie scelte di consumo uno strumento completo e rigoroso come la PEF?